“La “Bossi-Fini” ha finito con il produrre situazioni di forte criticità. Da un lato essa non è stata capace di favorire in modo efficace l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro; dall’altro ha dimostrato evidenti carenze anche sul fronte delle espulsioni”
L'immigrazione - lo confermano i dati, ma è sufficiente passeggiare per le strade delle nostre città - è un fenomeno che caratterizzerà la società italiana nei prossimi anni e a cui faremmo bene ad abituarci, senza timore, piuttosto osservandolo con lungimiranza e imparando a gestirlo, nel tempo, senza gli allarmismi e le isterie dettate dai fatti di cronaca. In quest’ottica si colloca la riforma della legge sull’immigrazione in discussione alla Camera, volta ad intervenire sulle debolezze e le insufficienze emerse in sede di attuazione della vigente legge Bossi-Fini, una legge che non era “sull’immigrazione”, ma “contro” l'immigrazione e che ha finito con il produrre situazioni di forte criticità. Da un lato essa non è stata capace di favorire in modo efficace l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro; dall’altro anche sul fronte delle espulsioni ha dimostrato evidenti carenze. L’obiettivo della riforma è duplice: risolvere i problemi sollevati dalla Bossi-Fini, e soprattutto inserire le innovazioni all'interno del moderno orizzonte europeo. Un orizzonte che non è certo quello di una società italiana chiusa, rispetto all'Europa unificata su scala continentale. In un’Europa composta da ventisette Paesi e destinata a crescere, il diritto di libera circolazione delle persone deve continuare ad essere un principio fondamentale dell'Unione, parte costruttiva della cittadinanza europea ed elemento fondamentale non solo del mercato interno, ma di quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che costituisce uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione europea.
Tuttavia, se è giusto prendere atto del fenomeno migratorio e optare per l’integrazione piuttosto che per l’edificazione di nuove barriere, è altrettanto doveroso oggi, in Europa e in Italia, limitare tutte le situazioni in cui i nostri concittadini possano considerare situazioni di insicurezza personale come frutto del processo di allargamento e di libera circolazione in Europa, anche perché è vero l'esatto contrario.
Un'applicazione piena e completa del principio di libera circolazione richiede, infatti, anche una puntuale disciplina delle norme volte a reprimere gli abusi e l'illegalità, nell'interesse non solo dell'Italia ma di tutti i cittadini comunitari rispettosi delle nostre leggi e dei nostri principi fondamentali. Solo attraverso il rafforzamento degli strumenti legislativi nazionali e, ancor di più, della cooperazione europea, si garantiscono risposte credibili al problema della sicurezza. A nulla servono, invece, demagogici ritorni a cittadelle chiuse di tipo medievale. Da qui a dieci anni gli immigrati, comunitari e non, saranno parte integrante della società italiana, che diverrà sempre più multietnica. Abbiamo creduto a lungo di essere un Paese che poteva fare a meno dell’immigrazione, di poterci difendere dall’ondata migratoria erigendo barriere. è tempo di abbandonare questo “splendido isolamento”, rimboccarci le maniche e prendere atto che il vecchio modello, incarnato dalla Bossi-Fini, non funziona più, se non altro perché il mondo ci è entrato prepotentemente in casa e non possiamo far finta di nulla. Bisogna inoltre considerare che gli immigrati svolgono un ruolo sociale sempre più rilevante, si pensi al settore domestico-assistenziale per esempio. Il rilancio dell’istituto dello sponsor voluto dalla riforma si inquadra, allora, perfettamente in questa nuova logica di integrazione perché l’immigrato sponsorizzato ha minori probabilità di cadere nella marginalità e diventare un carico sociale. Allo stesso modo, una disciplina più generosa dovrebbe riguardare i ricongiungimenti familiari, come premessa per un’immigrazione più integrata e “normale”. è a questo tipo di immigrazione che dobbiamo mirare. Solo una politica del doppio binario, che coniughi immigrazione e integrazione, legalità e accoglienza, riuscirà infatti a far fronte alla sfida dell’immigrazione che il nostro Paese affronta (e affronterà) in questo secolo. Con l’inizio del 2008, secondo le fonti anagrafiche, i figli degli immigrati hanno superato il milione. Fra soli venti anni, questi bambini saranno degli adulti cresciuti ed educati in Italia. Per quanto tempo ancora potremo permetterci di trattarli come cittadini di serie B? La risposta che dobbiamo fornire è una politica lungimirante, attenta ai bisogni di tutti, “nuovi” e “vecchi” cittadini: solo così saremo in grado di gestire al meglio l’immigrazione, considerandola finalmente come una risorsa e non più come uno spauracchio. Se non ci riusciremo, pagheremo il prezzo di un Paese diviso, non integrato, poco cosciente della propria ricchezza demografica.
Sandro Gozi
presidente del comitato parlamentare schengen,
europol e immigrazione
fonte http://www.socialnews.it/
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